Il Manifesto di Ventotene

Il Manifesto di Ventotene ha l’obiettivo di proporre un’Europa federale, in opposizione all’Europa sovranista che aveva portato a due guerre mondiali – l’ultima, all’epoca ancora in corso, scatenata dai sovranismi nazista e fascista. La sua fonte di ispirazione erano le Lettere di Junius, una serie di articoli pubblicati da Einaudi sul Corriere della Sera nel 1917. A questo i tre estensori (Colorni, Rossi, Spinelli) aggiungevano una ispirazione liberal-socialista, ma aperta a quanti volessero collaborare alla nascita dell’Europa unita pur da posizioni politiche diverse, purché democratiche.

Il Manifesto si apre così: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Subito dopo viene la critica agli stati nazionali: “La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi”, seguito da una ampia critica ai totalitarismi, che sarebbero destinati a prevalere nella concorrenza tra stati sovrani, accompagnata da una critica ai “ceti privilegiati che avevano consentito all’eguaglianza dei diritti politici” ma poi si sono sentiti minacciati dall’avanzata delle classi meno abbienti e hanno appoggiato l’instaurazione delle dittature (sottinteso: come nel caso di Croce, che prima di scrivere il Manifesto degli intellettuali antifascisti aveva continuato a votare a favore del governo Mussolini perfino subito dopo l’assassinio di Matteotti).

La seconda parte del Manifesto sviluppa l’idea dell’unità europea, da ottenere con un’azione rivoluzionaria che abbatta i regimi totalitari. Si avrà così “il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature, che vanno da un liberalismo molto conservatore fino al socialismo e all’anarchia”. È questo l’obiettivo della lotta rivoluzionaria, non l’instaurazione di una dittatura comunista. Anzi, “seguaci della politica classista e dell’ideale collettivista, i comunisti … si sono trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta il mito russo per organizzare gli operai, ma non prende legge da essi e li utilizza nelle più disparate manovre.” Certo, “Se il popolo è immaturo [si darà una costituzione] cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione”.

“Il punto sul quale [le forze reazionarie] cercheranno di far leva [per conservare la loro supremazia] sarà la restaurazione dello stato nazionale”. Come già sosteneva Einaudi, si ritiene “ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità, di organismi sul tipo della Società delle Nazioni”: è necessario uno sforzo in direzione federalista.

La terza parte del Manifesto riguarda “la riforma della società”, che “dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita”. A questo proposito si dice chiaramente che “la statizzazione generale dell’economia … una volta realizzata in pieno non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia”. “Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma … essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime.” Si tratta di passi che richiamano direttamente i principi del socialismo liberale di Carlo Rosselli, grande amico e compagno di lotta di Ernesto Rossi in Giustizia e libertà. Segue il passo: “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”. Come è possibile trasformare questo passo in una apologia della collettivizzazione forzata?

La fase immediata di lotta contro i totalitarismi dominanti discussa nelle pagine finali non è, per nostra fortuna, di attualità oggi: ricordiamo che il Manifesto fu scritto nel 1941, quattro anni prima della fine della guerra. Quel che è certo è che gli autori, eroi tra i più limpidi della lotta antifascista, erano contrari a tutte le dittature, compresa quella bolscevica. Parlare di “manifesto comunista” è un esempio tipico di fake news utilizzata per distorcere il dibattito politico.